Nato il 29 marzo 1893 a Stellanello, presso Andora,morto a Roma il 5 febbraio 1971 Bollettino Cric n° 118 – Marzo-aprile 1971
Nelle prime ore del 5 febbraio 1971, il Signore ha chiamato per l’ultima volta il nostro caro Padre Luigi Grossi: “Bene, servo buono e fedele, poiché sei stato fedele, entra nella gioia del tuo Signore”.
E’ l’alba del primo venerdì del mese, una delle devozioni che aveva tanto amato e tanto aveva fatto amare. Sono indubbiamente pochi quelli che hanno conosciuto una tale semplicità, una tale “linearità»: dal giorno in cui il Padre Delaroche – che, da Andora, andava tutte le domeniche a celebrare la messa nella piccola parrocchia di Stellanello – aveva invitato a un più alto servizio il bambino del coro che lo assisteva, Francesco Luigi Grossi aveva sempre risposto “presente” a tutte le chiamate del Signore.
Nel 1905 – aveva allora 12 anni, era nato il 29 marzo 1893 – entra nel gruppo dei Piccoli Fratelli ad Andora per i suoi studi classici; una delle gioie che spesso ricordava, fu di aver conosciuto e amato, per sei anni, il Padre Fondatore D. Gréa che ha sempre venerato in modo filiale. Nel 1911 venne a Roma, alla nostra casa di via Trenta Aprile, per fare il noviziato, fa la professione temporanea il giorno di Ognissanti nel 1912, contemporaneamente ai Padri Andrea Bortolotti e Antoine Champagne. I suoi studi di filosofia appena iniziati a Propaganda, deve interromperli per un lungo servizio militare: sei anni sotto le armi, durante la prima guerra mondiale dove, spesso in prima linea come infermiere di ambulanza, dà a tanti e tanti feriti quella carità quale aveva nel profondo del suo essere. Quali ricordi ci racconterà più tardi, di questo periodo commovente e difficile, parlando poco di lui, ovviamente, ma possiamo ben comprendere questa dedica che lo Stato italiano gli riconoscerà più tardi, conferendogli la croce di cavaliere dell’Ordine di Vittorio Veneto.
Dopo l’Armistizio del 1918, è finalmente tornato nella sua comunità, dove trova il suo amico, collega e confidente di sempre, Padre Antonio Novaro, da cui non si separerà più: professione perpetua nel 1920 e, il 9 luglio 1922, furono ordinati insieme preti.
I superiori lo destineranno quasi subito per “Regina Pacis ”, allora vice-parrocchia; vi rimarrà 49 anni, fino al suo l’ultimo giorno, primo vicario di padre Pietro Ciaffei, poi vice-parroco fino alla costituzione canonica della parrocchia nel 1931, di nuovo come vice-parroco di padre Antonio prima e di padre Scipioni poi. Dalla morte di padre Lamberto, ha aggiunto a questa funzione anche quella di Procuratore Generale della Congregazione presso la Santa Sede.
Semplicità e gentilezza nei rapporti umani, attenzione a bisogni e desideri di tutti nella propria comunità come nella parrocchia, una fede tutta candida, senza nuvole, limpida come la fede di un bambino, la carità per tutti, il sorriso a tutti, sempre accogliente: queste sono le caratteristiche di don Luigi, pastore di anime.
Disponibile alla minima chiamata per le confessioni, sempre disponibile per visitare qualsiasi malato che la sua carità ha conquistato al Signore, il Padre si sentiva certamente più a suo agio in questo ministero tradizionale che nel confronto di idee, nelle discussioni teologiche o in un ministero “all’avanguardia”: era buono, era “il buono Don Luigi ”, anche se la sua gentilezza sapeva essere esigente quando era necessario. Bontà eroica a volte: tale malattia non fu contratta per il fatto che, sfidando il maltempo e la fatica, non esitava affatto a intraprendere un viaggio difficile per riportare la pace? Come immagine di tutta la sua vita, il suo ultimo atto di ministero fu di portare la Santa Comunione a una persona ammalata, e lui lo fece senza tener conto di questo sforzo troppo pesante per il suo cuore. Chi può mai raccontare il numero di poveri che ha aiutato, di disoccupati che ha aiutato per trovare un lavoro, le famiglie che visitava per dedicarle al Sacro Cuore, le persone umili che ha guidato nelle vie semplici dell’amore del Signore? Fino alla fine è stato bravo, preoccupato per gli altri, e la sua ultima parola è stata un “grazie, grazie” al giovane studente che ha vegliato su di lui l’ultima notte della sua esistenza.
Dal dicembre 1970 la sua salute, già toccata da una grave crisi sei anni fa, lentamente peggiorava: pregava il Padre, preparandosi ad incontrare quel Gesù che ha tanto amato e che invocava incessantemente ad alta voce.
Con semplicità, come tutto ciò che aveva fatto. Una delle sue ultime gioie fu la sera del 27 gennaio, dopo aver ricevuto il sacramento dei malati davanti alla sua comunità, e la Santa Messa celebrata nella sua stanza il 2 febbraio. Il Vangelo del giorno era chiaro: “Ora puoi lasciare andare il tuo servo in pace, o Signore! “. E il Signore lo chiamò a sé nelle prime ore del 5 febbraio.
Il corteo di persone, iniziato subito nel grande salone della casa generalizia dove il suo corpo è stato esposto per la visita, era un segno eloquente di quanto era amato: aveva amato loro, i suoi parrocchiani, da più di 49 anni al loro servizio! Lo hanno dimostrato con il loro affetto, le loro lacrime, la loro preghiera, quanto anche lui era amato. Quando il suo corpo è stato portato, sabato 6 febbraio, nella sua chiesa Regina Pacis, la folla era immensa, nonostante l’orario scomodo per i romani (14:30); la gente si è unita così alla stessa comunità riunita al completo attorno al Padre Generale, rientrato urgentemente, ai nostri amici di sempre, S. E. Mons. Civardi, il padre abate D. Soetemans e un assistente generale dei Canonici Regolari Lateranensi, D. Criscuoli e molti altri; il discorso di padre Scipioni, che riportiamo più avanti, riassume bene i pensieri di tutti.Le spoglie di don Luigi riposano ora al Vérano, vicino a quella di padre Royon, nella nostra tomba di comunità. “O ire, o amare, o ad Te pervenire!” Così scritto. Padre Luigi ha scritto questo questa frase del nostro padre Sant’Agostino: ci ha sempre preceduto amando, ora ha raggiunto quello che è tutto Amore. P. F.
OMELIA DI PADRE ALFREDO SCIPIONI parroco di “Regina Pacis” – Vangelo, Giovanni, XIV, 1-6.
Cari confratelli, cari parrocchiani,siamo due comunità raccolte in preghiera, intorno l’altare e davanti all’altare del sacrificio eucaristico e del banchetto, per il suffragio dell’anima del nostro fratello e padre, don Luigi, che, per l’ultima volta, si ferma nella sua chiesa, la nostra chiesa.Una delle comunità, quella della sua famiglia religiosa, i Canonici Regolari dell’Immacolata Concezione, è interamente radunata intorno all’altare per la concelebrazione. La presiede il R. Padre Generale, tornando in fretta dalla sua visita alle case da altri paesi e continenti. È circondato dal Superiore della Casa Madre, che si è speso senza risparmio in un servizio d’amore, soprattutto durante i giorni di malattia del nostro confratello. E’ presente anche padre Antonio, legato alla vita di Don Luigi, con il quale ha sempre vissuto dall’infanzia al sacerdozio e durante il ministero comune. Voglio ricordare anche Don Pietro, S. Ecc. Mons. Ernest Civardi, Procuratore Generale della Congregazione Lateranense, l’intero clero parrocchiale, i sacerdoti e religiosi della Curia e della nostra Casa Generalizia, amici, conoscenti e ospiti del San-Bernardo. Questa presenza di tutti è segno del grande affetto che unisce tra loro i membri della Congregazione e l’amore di don Luigi per il suo Istituto, un amore che non è mai stato negato durante i 65 anni che ha vissuto in comunità.
Cari confratelli, il padre Luiqi non ci ha lasciato. Lui vive, in modo diverso, unito a noi. Se la Comunione dei Santi è vero, possiamo considerare il cimitero di Roma come un’altra delle nostre case (questa riflessione è di uno dei nostri parrocchiani); e quanti dei nostri sacerdoti e religiosi giacciono lì! L’altra comunità qui presente è la comunità parrocchiale. Di questa parrocchia, don Luigi era certamente il membro più anziano: ha vissuto in questo quartiere e ha lavorato, come studente, dal 1912. Da prete, poi, ha sempre esercitato il suo ministero in questa parrocchia. Il suo ultimo atto di ministero è stata l’amministrazione del sacramento degli infermi a una persona che assisteva spiritualmente, il 9 gennaio. Fu proprio in questa occasione che, sopraffatto dal male che già covava in lui, si allettò per non più rialzarsi. Lui stesso ha ricordato questo episodio quando mercoledì 27 gennaio gli è stata somministrata l’estrema unzione. La sua malattia e la sua morte hanno suscitato in tutti voi prima di tutto timore, poi dolore, come se fosse un membro della vostra famiglia. Dimostra quanto fosse amato, anche dentro la semplicità delle sue azioni: era sempre sorridente e premuroso nei suoi atteggiamenti.
Vi ringraziamo per questa testimonianza che ci date per il vostro affetto per lui, per i sacerdoti, per la chiesa parrocchiale. A tutti voi, confratelli e fedeli, immersi nel dolore, voglio rileggere alcune frasi del Vangelo scelto per la celebrazione di questa messa funebre, per il nostro conforto comune.
“Che il vostro cuore non sia turbato, credete in Dio, credete anche in me”(Gv, 14, 1). “Che il vostro cuore non sia turbato”. O Signore, tu hai detto queste parole di conforto ai discepoli di ieri, di oggi, di domani, sì, di domani, sì, tu stesso, alla vigilia della tua morte, poche ore della tua Passione! Stavi per morire e hai consolato gli altri!
Che mistero, che rivelazione! È solo nella tua Passione che troveremo la forza di soffrire e di morire.
“Credete in Dio, credete anche in me”. Signore, noi crediamo in te, con tutta la forza del nostro animo.
Ti amiamo, ti benediciamo. Possa il nostro cuore non essere turbato.
Non può, non deve essere turbato, nella visione della tua risurrezione, che è anche la nostra. Tu l’hai detto. “Vado a prepararvi un posto.” E quando me ne sarò andato e vi avrò preparato un posto, tornerò a portarvi con me » (Gv, XIV, 2-3).
Signore, hai preparato un posto per don Luigi. Sì, sei venuto a prenderlo, ieri mattina, venerdì, giorno della tua Passione e Morte, e anche primo venerdì del mese, consacrato al tuo Cuore pieno di bontà e di misericordia.
Tu ci prepari un posto quando saremo pronti per partire questo mondo al Padre tuo e nostro Padre.
Dov’è adesso Don Luigi? – “Dove sono io, c’è anche lui” (Gv XIV, 3). “Tu sei nella gloria, Signore. Di questa gloria tu sei la via, la verità e la vita ”(Gv XIV, 16). E ricordati come il nostro Fratello la conosceva, questa via. Ti ha spesso invocato: “Gesù, mio Gesù! “
Possa il vostro cuore non essere turbato! Gesù ripete queste sue parole di consolazione a tutti noi: a quelli della comunità religiosa e a quelli della comunità parrocchiale.
Don Luigi non ci ha lasciato: vive, in modo diverso, unito allo stesso Cristo, per lui glorioso, per noi ancora sofferente. E quando, o Cristo Signore, ti invocheremo, proveremo i benefici della preghiera e dell’intercessione del nostro confratello e padre: Don Luigi.
Nella festa di San Giuseppe, il 19 marzo 1971, il Padre Pietro Ciaffei è morto serenamente e senza sofferenza. La morte, che lui temeva, è stata dolce; molti vi hanno visto un segno della benignità paterna di Dio che egli aveva servito con generosità in una fedeltà instancabile.
FEDELTÀ: Questa parola sembra riassumere l’atteggiamento fondamentale della sua vita.
Ancora molto giovane era stato orientato verso la nostra comunità i cui studenti andavano a trascorrere le vacanze in un bellissimo piccolo bosco, vicino al paese di Montecompatri, dove è nato il 5 agosto 1889. Ha seguito, a Roma, il normale ciclo degli studi classici, quindi filosofia e teologia al Collegio di Propaganda, a quel tempo presso piazza Spagna. Appena professo – il 2 luglio 1909 – dovette interrompere i suoi studi di teologia per rispondere alla chiamata del servizio militare, nel dicembre dello stesso anno, poi nella guerra della Libia; liberato nell’agosto 1912, dovette tornare sotto le armi per la guerra del 1915-1918. È al fronte, non lontano dalla prima Iinea, che ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 20 ottobre 1915.
Il suo zelo per il culto divino, i suoi talenti musicali, la sua bella voce di tenore gli ha permesso di organizzare e dirigere cori di canto nei villaggi dove passava la sua compagnia. In assenza di chiese, celebrava la messa all’aperto per i sodati.
Nel 1918 torna nella sua comunità di Roma, al Gianicolo, e, da allora, gli fu affidato il ministero della nascente vice-parrocchia nel quartiere Monteverde (che, fino al 1932, sarebbe stata filiale della parrocchia di Santa-Maria in Trastevere). Nel 1922, a lui si aggiungeva don Luigi Grossi per questo compito di pioniere e fondatore di una parrocchia che sarebbe diventata la grande e bella parrocchia di Santa-Maria Regina Pacis.
Alcuni ricordano ancora gli umili inizi di questo immenso quartiere (una dozzina di parrocchie sono state formate in seguito); alcune strade sono state tracciate o pianificate, lo caratterizzavano alcuni villini e vasti lotti di terreno libero. La Chiesa provvisoria era un salone normale, ma arredato con gusto, capace di contenere da due a trecento persone; il presbiterio era stretto, scomodo, amplificato, gelido d’inverno (perché a Roma fa freddo, anche se l’inverno è relativamente mite), estremamente caldo in estate. Il padre Pietro, non più del suo compagno, non si è fermato a questi imprevisti: aveva grande salute, con una capacità di lavorare impressionante, con una dedizione incalcolabile. Queste qualità forse avevano il lato opposto, perché, anche se aveva un cuore tenero, una sensibilità di bambino, molti non se ne accorgevano, talmente le sue reazioni impulsive erano brusche e senza controllo. Da lì sarebbero sorte difficoltà con i romani più delicati e raffinati, che questo figlio di campagna feriva più che avvicinarli. D’altra parte i superiori, pur stimandolo profondamente, lo trovavano poco maneggevole, anche se tutto d’un pezzo: il suo allontanamento poteva sistemare molte cose …
I nostri religiosi, stabilitisi in Perù da più di 20 anni, chiedevano con insistenza dei nuovi collaboratori, giovani e attivi; erano loro, dunque, che inviavano alla comunità le risorse appena sufficienti per vivere dignitosamente; il loro appello aveva un peso.
Altri religiosi italiani erano pronti per il cambio, in Italia; il Padre Ciaffei era l’ideale per l’apostolato in Perù nella popolosa, appassionante, affollata Parrocchia madre del porto di Callao. Certo, non lui era un volontario per questa lontana missione: tutte le fibre del suo cuore lo legavano alla Roma, al “cupolone” (la meravigliosa cupola di San Pietro), al paesaggio familiare della campagna romana, alla responsabilità così esaltante iniziata a Monteverde. Ma aveva fatto un voto di obbedienza. Se c’è stata in lui sofferenza per l’accettazione di questa obbedienza – e chi potrebbe biasimarlo? – questo dramma interiore è stato di breve durata. Al suo arrivo in Perù, ha rapidamente assimilato gli elementi essenziali della lingua del paese, che avrebbe perfezionato negli anni; ha svolto questo incarico, senza guardare indietro, apportando le ricchezze della sua energia e dedizione. Diventa parroco di questa grande parrocchia del Callao, che verrà poi suddivisa in altre parrocchie, fino a diventare diocesi. Si è prodigato in tutte le attività tradizionali e tante altre: la ricostruzione dell’English Catholic College, fondazione del Collegio Sant’ Antonio per 500 studenti, ricostruzione parziale dell’Ospizio gratuito per signore anziane e senzatetto, organizzazione e animazione del Congresso Eucaristico del 1937 al Callao e a Lima, formazione dei primi gruppi di quella che si iniziava a chiamare “l’Azione Cattolica ”… Là era felice, là ha fatto del bene; doveva custodire un bel ricordo, e tenere amici fedeli.
Durante la sua visita canonica in Perù nel 1949, il padre Costante Robert, allora primo assistente, aveva celebrato, su richiesta dei fedeli del Callao, una messa di “saluto” per il Padre Pietro Ciaffei. La chiesa era piena. Alla fine della cerimonia, la maggior parte dei partecipanti è venuta in corteo davanti a lui, in sagrestia, ciascuno ripetendo lo stesso ritornello: “Padre, fate ritornare il Padre Ciaffei!”
Nel 1946, infatti, i confratelli in Italia avevano espresso il desiderio averlo come rappresentante nel Consiglio del Superiore generale, con la missione speciale di suscitare ancor più, in questo paese ricco di vocazioni, lo sviluppo del suo istituto. Negli anniprecedenti aveva fondato a Regina Pacis e al Callao, la cosiddetta opera di Santa-Monica, un’opera di preghiere e offerte per la scelta e l’educazione dei futuri religiosi. Il Padre Casimir, superiore generale, aveva già fondato la casa di Lonato, nella diocesi di Brescia, riportando dal Perù il Padre André Bortolottì. Il germe di allora, iniziato in condizioni incredibili di generosità e austerità, doveva fiorire nella casa di Montichiari, acquistata e organizzata sotto il padre Ciaffei e di cui fu il primo superiore.
Vi rimase per poco tempo, perché chiamato a collaborare più strettamente con il Superiore Generale, come primo assistente, ha preso in carico la formazione degli studenti nella casa di Roma. Qui, il suo principale lo sforzo – e non era poca cosa, ce ne sono voluti diversi anni e quante pratiche – è stato di riprendere la nostra casa generalizia, occupata per molti anni dal College-Lycée Manzoni. Ha avuto la gioia di poter rimettere in ordine questa casa, per collocarvi gli studenti con la curia generalizia. Iniziava a sentire, prematuramente, il peso degli anni, a diminuire le sue attività, ad affidarsi, e forse a ragione, alle cure mediche, con l’uso di vari medicinali, colui che fino ad allora dava l’impressione di non sapere nemmeno di avere un corpo (e, diciamolo in modo amichevole, di non sapere troppo bene che anche gli altri ne avevano uno).
Al Capitolo del 1957, essendo stato rinnovato i membri del governo, gli è stato affidato il compito di economo locale e responsabile della casa di vacanze di Gallese. I nuovi superiori, che aveva visto arrivare con apprensione, gli dimostrarono una piena amicizia e fiducia; dovevano stimarlo ogni giorno di più man mano che lo conoscevano; e lui si sentiva felice, con loro e a contatto con i giovani. Erano felici di parlare con lui, e lui era per loro un ottimo esempio. Chi più di lui ha amato la Chiesa, il Papa, la sua Congregazione, i suoi Superiori? E con quale delicatezza nei minimi dettagli! Era di costante fedeltà alla preghiera delle ore, al celebrazione dell’ufficio divino, negli esercizi comunitari. Se qualche leccornia o dolcetto non lo lasciava indifferente, ha vissuto comunque in povertà; era diventato tutto gentilezza e dolcezza al punto di apprezzare e amare ciò che una volta lo avrebbe dolorosamente sorpreso o addirittura irritato. Ha seguito da vicino lo sviluppo delle idee, leggendo con interesse le cosiddette riviste o settimanali d’avanguardia; anche se non approvava tutto (e chi, del resto, approverebbe tutto?) non ha mai condannato, ne vedeva o intravvedeva gli aspetti positivi. L’immensa trasformazione del mondo contemporaneo non gli è sfuggito, e i cambiamenti nella Chiesa, di cui era cosciente, quasi non lo sorprendevano. Era interessato, molto da vicino, a tutti i cambiamenti nella liturgia.
Il latino, il canto gregoriano, la musica polifonica erano come l’anima della sua anima; tuttavia gli piaceva dire che adesso si prega meglio di prima, perché in modo più diretto intelligibile.
Fedele, per se stesso, al suo abito religioso, era sempre meno scioccato (finché non lo era affatto) della libertà dei giovani (e degli anziani) in questo ambito.
Lui era felice; noi speravamo con lui, per lui lunghi anni segnati da una serenità sempre maggiore.
Nella festa di San Giuseppe, nell’ora dell’angelus di mezzogiorno, il Signore è venuto a cercarlo. Al mattino aveva celebrato la messa del patrono della Buona Morte. Dalle 9,00 alle 11,30 aveva ricevuto visite trascorse in tono gioviale e amichevole con il suo medico e amico Dr. Lillo, l’uomo di ogni dedizione, con i Padri e i Fratelli della casa.
Il suo ultimo incontro è stato con Padre Antonio Novaro, verso le 11,30. All’ora di pranzo, lo abbiamo trovato disteso sul letto, senza vita. La morte l’ha raggiunto dolcemente.
Il Signore lo avrà accolto nella sua casa di pace e gioia. Pregheremo per lui, affinché il Signore, liberandolo da tutto ciò che resta, da ogni radice di peccato, lo prenda con lui. “A convalle plorationis usque ad montem pacis” (St. Aug.) Luigi De Peretti